L’Opinione delle
Libertà, Edizione 141 del 04-07-2007
Bush e Putin dopo il summit
Alleati, non amici
Quando durante la Seconda Guerra Mondiale Winston
Churchill coniò la frase “meeting at the summit” o riunione al
vertice, intendeva
indicare un incontro di altissimo livello fra grandi leader che
prendevano
grandi decisioni. Da allora ce ne sono stati tanti di vertici ma, le
aspettative dell’incontro di domenica e lunedì fra George W.
Bush e Vladimir
Putin alla casa estiva di Bush padre a Kennebunkport nel Maine, erano
talmente
basse che nessun funzionario della Casa Bianca voleva usare la parola
“summit”
per descrivere l’incontro. Preferivano minimizzare: un posto tranquillo
dove
possono conversare e diminuire la retorica riguardo alla lista di
conflitti fra
i due Paesi che non fa altro che incrementare.
Oggi sembra così lontano quel primo incontro fra
Bush e Putin in un castello della Slovenia nel giugno del 2001. Era
allora che
Bush aveva offerto la sua ormai famosa descrizione dell’ex capo del
KGB: “L’ho
guardato negli occhi e l’ho trovato franco e affidabile. Abbiamo avuto
un buon
dialogo. Sono riuscito ad avere un senso della sua anima”. Alcuni mesi
dopo
Putin ha ricevuto l’onore di visitare il ranch di Bush in Crawford,
Texas dove
i due presidenti sembravano un paio di vecchi amici quando rispondevano
alle
domande dei ragazzi di un liceo locale. Putin si era anche guadagnato
applausi
e risate con un paio di battute: “E’ da tanto che noi nella Russia
abbiamo
capito che il Texas è lo stato più importante degli Stati
Uniti. Fa, forse,
eccezione solo l’Alaska, che vi abbiamo venduto noi! ”
Da ricordare anche che era proprio Putin il primo
leader mondiale a telefonare a Bush per fare le sue condoglianze dopo
gli
attacchi dell’undici settembre. E poco dopo ha visitato le rovine delle
Due
Torri dicendo che con la sua visita sperava di attirare l’attenzione
sull’importanza della tragedia e prometteva di fare tutto il possibile
perché
niente di simile succedesse nel futuro. Allora si parlava di un
“partnership”
per combattere il terrorismo.
Anche
gli USA hanno il loro da ridire, ma non
tanto la Casa Bianca quanto il Dipartimento di Stato. Secondo
sottosegretario
David Kramer, “E’ impossibile non fare menzione delle relazioni che la
Russia
ha coi suoi vicini dove abbiamo visto dei casi di intimidazione
flagrante verso
coloro che esprimevano tendenze pro-occidentali. E dentro la Russia,
c’è stato
uno scivolamento in una direzione antidemocratica che troviamo molto
preoccupante”.
E’
difficile, però, non notare il contrasto notevole
nei segnali diplomatici che i due leader si sono mandati subito prima
dell’incontro. A Mosca, Putin ha ricevuto un gran nemico
dell’amministrazione
Bush, il leader venezuelano, Hugo Chavez. Bush, da parte sua aveva
ricevuto
nell’Ufficio Ovale il presidente dell’Estonia, il Paese Baltico che ha
una
disputa molto amara con la Russia riguardo alla storia della Seconda
Guerra
Mondiale. C’è da dire, però, che non è una tattica
diplomatica nuova. E’ da un
po’ di tempo che Bush ha preso l’abitudine, subito prima e dopo le sue
visite
nella Russia, di visitare le nazioni che si sono separate dal vecchio
impero
sovietico. Quando durante le sue visite in Lettonia e in Lituania fece
dei
discorsi lodando le loro nuove democrazie, Putin ne fu molto irritato.
La prima dichiarazione uscita dopo la conclusione
del vertice non vertice di Kennebunkport è che Bush e Putin
hanno deciso di
progettare un fronte unito contro il sospetto di un programma militare
nucleare
dell’Iran. Nelle parole di Bush “Quando la Russia e gli Stati Uniti
parlano
sulla stessa linea, questa tende ad essere effettiva, e quindi,
apprezzo
l’atteggiamento della Russia nelle Nazioni Unite. Riconosciamo che
dobbiamo
lavorare insieme per trasmettere un messaggio comune”. Trattandosi
dell’Iran, è
già qualcosa.
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