L’Opinione delle Libertà, Edizione 39 del 26-02-2008
I programmi economici statunitensi di
sostegno al continente nero non fanno
notizia
Bush in Africa,
successo politicamente scorretto
di Sandra Giovanna Giacomazzi
“Questo è un
vero
trionfo per la politica estera americana e voi non vi avete neanche
prestato un
po’ di attenzione”. Così sono state le parole di lode per George
W. Bush e di
biasimo rivolte alla stampa dal cantante rock irlandese Bob Geldof, la
settimana scorsa durante il viaggio di sei giorni del presidente
americano nel
continente africano. Secondo Geldof l’attuale presidente americano ha
fatto di
più per combattere le malattie e la povertà in Africa di
qualunque dei suoi
predecessori. Il Presidente Bush ha visitato cinque nazioni, Benin,
Tanzania,
Ruanda, Ghana e Liberia, in sei giorni, ma probabilmente avrebbe voluto
fermarsi di più, visto il bagno di folla spumeggiante e
affettuoso che ha
ricevuto ovunque andasse, un benvenuto calorosissimo da migliaia di
persone
sorridenti e danzanti. Altroché “Obamamania”! Ma perché
il presidente americano
è così benvoluto nel continente africano? La risposta
è semplice. C’è chi si riempie
la bocca di promesse per l’Africa. C’è chi “mette i soldi dove
ha la bocca”,
ossia chi fa quello che promette. E poi c’è chi agisce senza
tante chiacchiere.
Bush, in Africa, appartiene alla terza categoria. La lista di
iniziative è
lunghissima. Inanzitutto, durante il suo mandato Bush ha introdotto il
President’s Emergency Plan for Aids Relief (PEPFAR), un piano di
emergenza per
combattere la diffusione del virus dell’HIV in tredici paesi
dell’Africa. Il
programma è in opera da cinque anni con un budget di 15 miliardi
di dollari.
Già si tratta della somma più grossa mai sostanziata per
combattere una singola
malattia, ma Bush sta trattando col Congresso americano per
raddoppiarla. Sotto
la sua amministrazione numerosi paesi africani hanno potuto beneficiare
dell’African Growth and Opportunities Act (AGOA), un’iniziativa che ha
triplicato le esportazioni dal continente africano verso gli Stati
Uniti dal
2001. Grazie al Millennium Challenge Account sono stati premiati i
paesi
africani che governano con giustizia, che investono nella loro gente e
che
aprono le loro economie all’imprenditoria. Attraverso la Africa
Education
Initiative sono stati stanziati i mezzi per distribuire 15 milioni di
libri di
testo, preparare un milione di insegnanti e fornire borse di studio a
550,000
ragazze prima del 2010.
L’amministrazione Bush ha avuto il coraggio di condannare la violenza
in Darfur
e chiamarla col suo nome: genocidio, e ha stanziato aiuto per
addestrare ed
equipaggiare una missione di soldati africani in Sudan. Cinque anni fa
il
governo degli Stati Uniti aiutò i liberiani a mettere fine alla
guerra civile
che portò alle elezione della prima presidente donna di un paese
africano,
Ellen Johnon-Sirleaf. E l’elenco andrebbe allungato e meglio articolato
per
fare capire perché un cantante pop della Liberia ha composto una
canzone per
l’occasione intitolato “Thank you George Bush” o le parole di Jakaja
Kikwete,
presidente della Tanzania. “Lei, Signor Presidente e la sua
amministrazione
sono stati veri amici del nostro Paese e amici dell’Africa.” E’ vero
che la
settimana scorsa era più colma del solito di notizie estere
ricche di
implicazioni per il futuro: le elezioni in Pakistan, l’indipendenza del
Kosovo,
il cambio della guardia in Cuba, e alcuni interventi della Turchia nel
nord
Iraq. Ma forse se giornali come il New York Times si fossero impegnati
meno a
rivolgere le loro elucubrazioni sulla figura “carismatica” di Castro e
a
piazzare in prima pagina “notizie degne di essere stampate” piuttosto
che
gossip da far concorrenza ai tabloid, avrebbero avuto più spazio
da dedicare al
viaggio del presidente in Africa e alla commovente dimostrazione di
affetto e
gratitudine che gli è stata mostrata.
giogia@giogia.com Ritornare alla lista