Italian
Perspectives
by Sandra Giovanna
Giacomazzi
L’Opinione delle Libertà, Edizione 117 del 05-06-2007
Le vere ragioni della cacciata di un
neocon idealista dalla Banca Mondiale
Wolfowitz, la
balla dell’amica
Avrebbe
voluto
salvare la Banca da se stessa, dalla sua inerzia, dalla sua corruzione.
Le élite
lo hanno fatto fuori
di Sandra Giovanna Giacomazzi
“Immaginate che
un pubblico funzionario di altissimo livello di un’istituzione
multinazionale
procuri un nuovo lavoro ad una collega di sesso femminile sulla
quarantina, un
lavoro che viene accompagnato da un aumento di stipendio di circa
45mila
dollari e che porta il suo stipendio annuale a circa 190mila dollari,
esente di
tasse. Adesso immaginate che la coppia sia stata fotografata su una
spiaggia
per nudisti e che lui non porti altro che un capello da baseball”.
Questo
è
l’incipit di un articolo apparso sul Wall Street Journal un mese fa nel
bel
mezzo dello scandalo Wolfowitz. Naturalmente i lettori pensavano che si
trattasse di lui, di Wolfowitz. Invece si riferiva a Günter
Verheugen,
ex-parlamentare socialdemocratico tedesco e vice presidente della
commissione
europea, che aveva assunto l’economista e amica, Petra Erler, come suo
“chief
of staff”. L’articolo mirava a dimostrare i due pesi e le due misure
nel
trattare i due uomini. Pur assomigliandosi i due scandali, ci sono
delle
importanti differenze. Wolfowitz aveva agito in trasparenza, Verheugen
aveva
cercato di nascondere il suo rapporto con la Erler, anche perché
lui, a
differenza di Wolfowitz, è un uomo sposato. Wolfowitz dovette
usare il suo potere
per allontanare la sua amica. Verheugen usò il suo per
avvicinare la propria.
Da Wolfowitz furono pretese le dimissioni. Verheugen rimarrà
tranquillo al suo
posto.
Appena assunto dalla Banca Mondiale, la prima cosa che fece Paul
Wolfowitz fu
di informare la Commissione Etica della sua relazione con Shaha Riza,
un’impiegata molto apprezzata e di lunga data della Banca, chiedendo di
essere
ricusato da affari bancari che potessero riguardarla. La Commissione
Etica
rifiutò la sua richiesta consigliandogli di fare in modo che la
Signora Riza
lasciasse la banca con sollecitudine, trovandole un altro impiego
altrove e
compensandola giustamente per la forzata interruzione della sua
carriera.
Wolfowitz non fu affatto contento di dover lui gestire lo spostamento
della
Riza, ma gli fu dato l’ordine di farlo e lo eseguì. Trovò
un posto per la
Signora Riza al Dipartimento di Stato, ma poiché lei non fu
affatto contenta di
andarsene non accettò una liquidazione una tantum, ma pretese un
sostanzioso
aumento di stipendio. In seguito alla risoluzione della vicenda
ricevette due
lettere dal presidente della commissione: una che lo ringraziava per la
sua
azione e l’altra che riconosceva che per lui la storia finiva
lì. Invece come
sappiamo tutti, quello fu solo l’inizio.
E’ da questo e anche
da altro che si capisce che l’allontanamento di Wolfowitz
non ha niente a che fare né con la sua amicizia con la Riza,
né con il lavoro
che le fu trovato, né con l’aumento di stipendio che le fu
concesso. Il disegno
fu fatto molto prima.
Prima
ancora di
arrivare alla Banca, appena si seppe della sua nomina, i membri dello
staff
della Banca spedirono fra di loro 300 e-mail interne, quasi tutti
preoccupati
per l’identità del loro nuovo capo. “Una nomina terrificante”,
dichiarò David Timms,
portavoce del World Development Movement. Per gli impiegati della banca
la
reputazione da falco di Wolfowitz lo rendeva poco adatto ad una
organizzazione
umanitaria. Così fu giudicato e condannato prima ancora di
mettere piede nel
palazzo. Quando entri nel grande palazzo stile moderno della Banca
Mondiale su
H Street a Washington, la prima cosa che vedi è una scritta
grande e grossa:
“Working for a world free of poverty”, “Lavoriamo per un mondo senza
povertà”.
E’ questa la missione monumentale assunta dai Paesi che fondarono la
Banca nel
1944 per offrire prestiti a Paesi che difficilmente avrebbero potuto
averli
altrimenti.
Wolfowitz arrivò
con l’entusiasmo idealista “salviamo il mondo” dei neocon,
corrispondente al
cento per cento a quella missione. Ma
voleva anche salvare la Banca da se stessa, dalla sua inerzia, dal suo
essere
ingombrante, dalla sua corruzione. Voleva fare in modo che i soldi
arrivassero
sul serio ai poveri e non nelle tasche di funzionari pubblici locali,
magari
con qualche tangente intascata dai funzionari bancari. Voleva
promuovere
progetti che avrebbero aiutato i poveri ad aiutare se stessi.
Apparteneva alla
scuola che non regala i pesci ai poveri, ma la canna da pesca e il
saperla
usare.
Secondo
Dan
Goure, uno studioso del Lexington Institute, un centro studi
conservatore in
Virginia, “come necon e come laureato della scuola del potere politico
dell’Università di Chicago, Wolfowitz minacciava la struttura
Euro-socialista
della Banca Mondiale, la sua filosofia del “get along by getting along”
“andare
avanti andando d’accordo”. Ed è per questo che doveva cadere. La
Banca non
poteva sopportare uno che arrivava pretendendo sul serio di salvare i
poveri
del mondo, dopo sessant’anni di ruberie, tangenti e accordi sottobanco.
Per sopravvivere
in quel vespaio lui doveva essere più puro della moglie di
Cesare. Invece, lui
come Cesare si consegnò al coltello dell’assassino. Wolfowitz si
lamentò di
essere stato vittima di tattiche diffamatorie designate a minare la sua
campagna anti-corruzione. Le sue lamentele erano giuste quanto
irrilevanti. Un
potere trincerato di élite aveva deciso di farlo fuori e lui
è caduto nella
loro trappola.
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