L’Opinione delle Libertà, Edizione 65 del 25-03-2006
Dopo il caso sulla gestione dei porti, anche gli Usa discutono se cedere aziende strategiche agli stranieri
L’americanità delle aziende
americane
di Sandra Giovanna Giacomazzi
Mentre in Italia la mancata Opa da parte dell’Enel su Suez e la sua controllata Electrabel ha aperto una discussione sulla perdita della italianità di molte aziende del Belpaese, negli Stati Uniti l’affare Dubai Ports World ha inaugurato tra gli americani un discorso analogo riguardo all’opportunità o meno di permettere che aziende in certi settori siano sotto controllo straniero.
Prima dell’affare Dubai Ports World nessuno sapeva che l’80% dei terminal portuali degli Stati Uniti fosse gestito da aziende straniere. E’ dalla fine degli anni Ottanta, quando sembrava che il Giappone volesse inghiottire mezza America, che non si sentiva parlare dell’americanità delle aziende statunitensi. Secondo Clyde Prestowitz, presidente della Economic Strategy Institute, molti supermercati americani sono di proprietà olandese, molti alberghi appartengono a gruppi britannici e molte industrie di semiconduttori sono in mani straniere. La maggior parte di queste nazioni è alleata degli Stati Uniti, ma a volte ci sono questioni di sicurezza che riguardano alcune acquisizioni. Per esempio, molti programmi di software usati negli Stati Uniti sono creati in India. Secondo Harlan Ullman del Center for Strategic and International Studies, il fatto che le imprese americane siano dipendenti da software indiano potrebbe rappresentare una loro eventuale vulnerabilità.
A parere del Congresso la sicurezza
nazionale non riguarda solo il proteggersi contro attacchi terroristici.
Significa anche sicurezza economica ed energetica. Recentemente è
stato bloccato l’acquisto dell’azienda petrolifera americana Unocoal da
parte della Cina. La legge, infatti, proibisce anche l’acquisto straniero
delle linee aeree e delle stazioni tv, ma qualunque affare internazionale
che potrebbe rappresentare un rischio dal punto di vista della sicurezza,
è revisionato dal “Committee on Foreign Investments in the United
States”. Un acquisto che l’agenzia ha permesso recentemente è quello
dell’Ibm da parte della Cina per più di un miliardo di dollari.
Secondo Douglas Holtz Eakin del “Council on Foreign Relations”, molti acquisti
sono solo pezzi di carta. Più che comprare frammenti di America
gli acquirenti comprano dei buoni del tesoro. Sarà vero, ma c’è
chi si preoccupa del fatto che due trilioni di dollari di buoni del tesoro
in mano straniera rappresentano una leva che potrebbe tradursi un giorno
in una minaccia alla sicurezza nazionale. Per Eakin, il vero problema di
assicurare che i beni patrimoniali americani stiano fuori dalle mani dei
nemici è determinare chi sono i nemici. Durante la Seconda guerra
mondiale e la Guerra Fredda era semplice capire chi fossero. Con la guerra
contro il terrorismo non è così palese.
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