Italian Perspectives                                                              
by Sandra Giovanna Giacomazzi 

L’Opinione delle Libertà, Edizione 253 del 23-11-2006

Dai tempi di Roosevelt gli americani lasciano che a gestire le strade sia solo lo Stato

Il caso Autostrade-Abertis e l’esempio del mercato Usa

 di Sandra Giovanna Giacomazzi

 La settimana scorsa la Commissione europea ha avviato una procedura di infrazione contro l’Italia per violazione dei principi della libera circolazione dei capitali e “della libertà di stabilimento in riferimento al nuovo regime delle concessioni autostradali”. Il caso riguarda le azioni messe in cantiere dal governo italiano inerenti alla fusione Autostrade-Abertis. Da liberali non sapremmo chi contestare. Il governo italiano pretende di applicare metodi protezionistici contro il libero mercato. La Commissione pretende invece di fungere da cane da guardia a svantaggio della sovranità nazionale. La verità è che non ci va di tifare pro o contro nessuno dei due perché non capiamo, in primo luogo, che diavolo fanno le autostrade in mano ai privati. Soprattutto in un Paese dove fino all’altro ieri lo Stato fu padrone e gestore di fabbriche di panettoni, di pelati, di olio d’oliva e di automobili di lusso. Perché mai dare ai privati un settore strategico come la gestione della rete autostradale?

In quel Paese, gli Stati Uniti, dove tutto, secondo la sinistra, è spietatamente privato, anche le scuole (non è vero e anche i libri sono gratuiti fino all’università), e la sanità (falso anche questo, c’è il Medicaid per i poveri e il Medicare per gli anziani), le autostrade sono rigorosamente pubbliche e sacrosantamente gratuite! Sono progettate e finanziate dallo Stato e amministrate dal Federal Highway Administration (FHWA) che fa parte dello “US Department of Transportation”, cioè il ministero dei Trasporti. La FHWA distribuisce i fondi secondo formule stabilite dal Congresso che istituisce le politiche generali per la loro progettazione, costruzione, esercizio e mantenimento. E questo solo per dare le linee guida. Sono i dipartimenti di trasporto degli Stati e dei governi locali ad attuare la pianificazione, la costruzione e l’esercizio.

 L’idea di una rete di autostrade federali e interstatali negli Stati Uniti nacque negli anni Trenta durante la presidenza di Franklin D. Roosevelt.  Fu il New Deal di Roosevelt che aiutò a pagare la costruzione della Pennsylvania Turnpike, un’autostrada a pagamento che entrò in funzione nel 1940. Il presidente democratico prevedeva tre autostrade transtatali est-ovest e tre nord-sud, tutte “toll roads”, a pagamento. Ma il dibattito riguardo al se dovessero essere a pagamento o gratuite fu molto lungo e acceso è ne impedì la costruzione. E ne capiamo il perché.

 I caselli sono in perfetta antinomia con la definizione stessa di un’autostrada. In inglese un “highway” è una strada a più corsie separate da un divisore e ad accesso limitato, ossia solo ad intervalli e per mezzo di speciali rampe di accesso e di uscita in modo da non disturbare il flusso del traffico. Ed è questo il punto. I caselli sono degli ostacoli che impediscono il flusso del traffico. Un controsenso. Se Bertinotti vuole proprio abolire la proprietà privata, l’unica concessione che potremmo permettergli con piacere è il sequestro e la demolizione dei caselli autostradali.

 Dopo la seconda guerra mondiale, invece, è passata una legge storica riguardo alla costruzione stradale negli Stati Uniti: il Federal Aid Highway Act del 1956, che autorizzò la costruzione di 70,000 chilometri di autostrade interstatali. Il presidente Dwight D. Eisenhower fu un grande sostenitore del programma, avendo visto l’efficienza della rete di autobahn in Germania durante la guerra. Da allora la rete autostradale gratuita continua ad espandersi su tutto il continente. Nel 1991 il Congresso decise di nominare l’intera rete nazionale toll-free (senza caselli) in onore del presidente repubblicano.


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