Italian Perspectives                                         
by Sandra Giovanna Giacomazzi 

Autogestione:  Stop alle mutilazioni genitali femminili. (L’Opinione, 15 febbraio 2003)

Le mutilazioni genitali femminili sono un argomento che non riguarda solo l’Africa:  in Italia sono circa 40 mila le donne che hanno subito mutilazioni sessuali.  E ogni anno nel bel paese almeno 6 mila bambine subiscono questo barbaro trattamento.  Queste sono le cifre comunicate dall’UNICEF Italia al programma radiofonico Zapping condotto da Aldo Forbice.

Avendo visto l’interesse e lo scalpore che la conoscenza di questo dramma aveva provocato nei miei studenti, ho deciso di organizzare una conferenza durante l’Autogestione. Ho invitato Giancarlo Pavetto, medico e presidente della sezione torinese dell’associazione “Buon Governo”, Silvio Viale, ginecologo dell’ospedale Sant’Anna di Torino, e presidente dell’associazione radicale “Adelaide Aglietta,” e Saida Hamed Ali, consulente legale e esperta d’immigrazione e della condizione femminile.

La sala della conferenza era stracolma di ragazze e dico ragazze perché i ragazzi si contavano su una mano.  Pavetto ha subito notato questo particolare, rammaricandosene perché l’argomento dovrebbe interessare altrettanto i maschi!

Pavetto e Viale si sono divisi il compito di spiegare esplicitamente di che cosa si trattava, in quale modo e quale parte vengono mutilate, e tutte le conseguenze mediche dirette ed indirette.  Entrambi sono stati molto esaurienti nell’illustrare minuziosamente il danno brutale di un’operazione così barbara e innaturale, e per la quale rifiutano l’eufemismo inaccettabile “circoncisione” per un atto che può solo essere definito mutilazione.

Questa loro insistenza sulla terminologia sembrava una rimostranza contro chi, con la fede della multiculturalità, è disposto a giustificare, nel nome del rispetto per le tradizioni altrui, cose che per noi sono criminali.  E non hanno torto.  Questa moda è diffusissima, responsabile di un preoccupante relativismo etico.  Durante la mia lezione su FGM, una studentessa aveva proclamato con un atteggiamento serenissimo, “Beh, è la loro tradizione, come per noi il battesimo”.  Meno male che sono insorti tutti i suoi compagni di classe, facendole presente le differenze.  In ogni modo l’episodio è sintomatico di quanta tolleranza ci possa essere per l’intollerabile quando risponde ad una moda di correttezza politica.

I due medici hanno anche fatto presente che, nonostante la presentazione di diverse proposte di legge in materia, non esiste una specifica legge punitiva per questo tipo di reato.  Ma pare che le cose stiano per cambiare: mercoledì è passato il primo sì in Commissione Giustizia al Senato per la legge Consolo (AN), per contrastare le mutilazioni genitali.

A giudicare dal loro impegno per gli aspetti legali, credo che Pavetto e Viale avrebbero invidiato la posizione di Lord William Bentinck, governatore dell’India nel 1829, che fece abolire la pratica del Sati, il bruciare vive le vedove sulla pira funeraria dei mariti defunti.  Quando gli indù invocarono il loro diritto di praticare le loro tradizioni, lui rispose con pacato presunzione: Voi avete la libertà di praticare le vostre tradizioni barbare e io la mia di punirvi per aver oltraggiato le nostre leggi civili.

È poi toccato a Saida Hamed Ali, somala, colta, e con un italiano perfetto, di offrirci la sua testimonianza preziosissima.  In Italia, Hamed Al si occupa non solo di donne immigrate africane, ma anche di donne italiane sposate con africani.  Per di più è impegnata in Africa dove lavora per diffondere informazione per educare le donne africane ai loro diritti.

Hamed Ali ci ha spiegato le radici tribali e maschiliste di questa tradizione:  il desiderio degli uomini di avere il controllo sulle loro donne.  Da lì attraverso il tempo è diventata tradizione accettata.  In classe coi miei studenti, cercando di capire come una madre che ha subito una simile sofferenza potesse infliggerla alla propria figlia, avevamo esaminato un aspetto economico: garantiva un marito alla figlia e quindi la sua sicurezza economica.  Però Hamed Ali ci ha spiegato che quest’attenuante non ha più nessun valore per le donne africane.  In Europa e in Africa, sono le donne a lavorare e a mantenere le loro famiglie.  Ci ha anche indicato che il problema è anche più complesso di quanto può sembrare.  Lei si trova non solo con donne che devono essere convinte che non devono più propagare queste barberie.  Ci sono anche donne che sono scappate dalle loro Paesi proprio per fuggirne, che si sentono offese quando un assistente sociale giudica che le loro figlie sono a rischio.

Dopo la conferenza Hamed Ali mi ha raccontato una cosa in privato che mi ha fatto rabbrividire, come se non fosse già bastato il resto.  Si sa che le mutilazioni non hanno niente a che fare con la religione islamica, ma pare che ci siano uomini musulmani che, una volta sposati con una moglie italiana, e avendola fatta convertire all’Islam, raccontano loro che la “circoncisione” è una pratica prevista dal Corano.  Secondo lei ci sono delle donne italiane che hanno cercato di farsi mutilare, per accontentare questa richiesta dei loro mariti, una pretesa per avere il controllo su di loro con un pretesto religioso fasullo.  Non capisco perché non ha voluto raccontare questi fatti alle ragazze che, con l’immigrazione straripante che c’è da Paesi Islamici, potrebbero trovarsi anche loro con un fidanzato musulmano.



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