Autogestione: I sindacati italiani (Sull’Opinione, 22 febbraio 2003)
In questa lunga serie d’articoli sull’autogestione svoltasi nel liceo dove io insegno, ho toccato solo una frazione delle conferenze realizzate. Non ho assistito alle altre conferenze perché erano in concomitanza con quelle alle quali io avevo portato relatori. Però per dare un’idea ai lettori di Opinione su quali altri temi interessino i giovani d’oggi, in programma c’erano: Le droghe leggere, lo smog e la città, gli O.G.M, l’esperienza zapatista in Chiapas, Greenpeace, la crisi della Fiat, Indymedia, la legge Bossi-Fini, il commercio equo e solidale, il treno ad alta velocità, e l’immigrazione minorile a Torino.
L’ultima conferenza dove avevo portato un relatore era sui sindacati italiani e avevo invitato Giorgio Bianco per parlare del libro di cui è co-autore “Il libro grigio del sindacato”.
Bianco ha illustrato ai ragazzi come in teoria i sindacati dovrebbero rappresentare la controparte della classe imprenditoriale, ma in pratica paradossalmente sembrano loro i veri imprenditori. Ha elencato i mezzi impressionanti di cui dispongono: un budget complessivo che supera i 2.000 miliardi di lire l’anno, con più di 20,000 dipendenti, una capacità di indire convegni, di finanziare centri studi, di pubblicare riviste, di fondare case editrici, e di organizzare adunate oceaniche. Ha spiegato poi il vezzo delle trattenute automatiche sugli stipendi degli iscritti. E qui ci voleva qualche radicale a vivacizzare il discorso, a raccontare la loro campagna di quest’autunno insieme al quotidiano Il Giornale per informare ed assistere gli iscritti non volenti a togliersi il peso economico di un’iscrizione forzata.
In seguito ha denunciato le altre fonti di’introiti che sono nascosti dietro voci anonime come “contributi da organismi diversi”, per non parlare dell’immenso valore delle proprietà immobiliari che facevano capo alle organizzazioni corporative del periodo fascista, ma che sono state poi “concesse” dallo Stato agli attuali sindacati nel 1977. Insomma un imprenditore “normale” fa solo ridere nei confronti del potere economico di cui godono i super-imprenditori sindacali.
Ha poi toccato l’argomento dell’articolo 18, dimostrando come l’opposizione dei sindacati alla sua rimozione e la loro pretesa di estenderlo a tutte le categorie è una posizione che va contro gli interessi dei lavoratori, disincentivando le aziende ad assumere più persone, scoraggiando le aziende piccole di successo a diventare grande, e penalizzando in particolar modo i giovani. In fine, ha esposto come i sindacati in Italia abbiano tradito il loro ruolo: quello di sbloccare il conflitto sociale, diventando invece proprio loro gli ideatori e organizzatori di quel conflitto.
giogia@giogia.com Ritornare alla lista