(Pubblicata parzialmente nel Foglio del 28 novembre e nel Giornale del Piemonte del 4 dicembre)
Due settimane fa si è svolto a Torino una conferenza organizzato dall’Associazione Buon Governo: dopo il pro-USA day in piazza a Roma, un pro-USA evening in un salotto pubblico Torinese all’Unione Industriale di Via Fanti. Durante quella conferenza, si è cercato di dare una spiegazione all’insediamento e alla permanenza dell’antiamericanismo nel cuore e nelle menti di molti italiani.
Tante teorie sono state avanzate e non credo che l’argomento si sia esaurito lì. Però trovo che quella più attinente al momento attuale, alle dimostrazioni astiose e vistose che osserviamo nelle nostre piazze, sia quella che è stata avanzata dal Professor Antonio Zichichi, ossia l’ignoranza e l’inquinamento culturale. Ciò che segue è una testimonianza di questi due fenomeni che ho vissuto in prima persona come docente in un liceo torinese.
Qualche giorno prima un mio studente mi aveva fatto avere un documento che annunciava l’intenzione dei rappresentanti di 20 licei torinesi di iniziare un periodo d’autogestione. Io non sapevo neanche che cosa fosse l’autogestione. Nei vent’anni che vivo in Italia ho sempre lavorato in strutture britanniche o come libera professionista, ed in ogni modo sempre nel settore privato. È solo dall’inizio di quest’anno scolastico che io insegno Diritto e Economia in lingua inglese in un liceo classico di Torino.
E così ho conosciuto questo fenomeno che si chiama “autogestione” che è sostanzialmente un rifiuto di proseguire con l’insegnamento, o meglio l’imparamento (se posso inventare una nuova parola, cosa che mi diverto a fare spesso e volentieri), visto che non siamo noi a rifiutare di insegnare ma loro a rifiutarsi di imparare. Loro ritengono di aver di meglio da fare che stare in classe ad imparare le cose che vengono insegnate. A me sembra che si auto-gestiscano già fin troppo tutti i giorni, considerando la difficoltà che incontriamo a cercare di imporre un minimo di disciplina dignitosa durante le ore di lezione!
Premetto che le scuole italiane godono di una pessima reputazione per quanto riguarda l’organizzazione, le strutture, ed i docenti. Posso confermare, per la mia piccola esperienza personale, la maggior parte di questa cattiva stima. L’organizzazione disorganizzata oltrepassa il verosimile per una persona cresciuta in un mondo di cultura anglosassone. Alle strutture mancano elementi che per me sono basilari, eppure mi assicurano che sono in una delle migliori scuole di Torino. Ma invece devo dire che per quanto riguarda il corpo docente, ho l’onore di aver colleghi che sembrano estremamente ben preparati, che hanno passione per la loro materia, e che hanno tantissima voglia di trasmettere la loro sapienza e passione agli studenti.
Detto ciò, tornando ai nostri studenti, essi con la loro autogestione rifiutano quindi con arroganza il meglio di ciò che la loro scuola offre loro. Questo che cos’è se non un’eclatante dimostrazione d’ignoranza? Chi non sa o sa poco, crede di saper tutto. Chi ha studiato, chi percorre la vita studiando (auspicandosi magari che coloro che credono nella reincarnazione abbiano ragione) sa di non poter mai colmare in una sola vita le lacune della propria ignoranza.
Adesso invece le vorrei offrire un esempio di quell’inquinamento culturale a cui si riferiva il Professor Zichichi, confessandoci di aver preso in prestito il concetto dal suo collega Professor Capizza, fisco italiano a Mosca che si rifiutò poi di collaborare con Stalin.
Quando ho letto il documento allegato alla comunicazione di autogestione, sono rimasta esterrefatta. La motivazione principale per la loro interruzione delle lezioni era discutere della guerra, cosa che avevano anche fatto nelle mie classi. (Insegnando Diritto, c’è una componente di educazione civica, e naturalmente non mi sono lasciata scappare l’occasione di basare una lezione sui privilegi della civiltà occidentale quali: lo stato di diritto, lo stato laico, i diritti umani, la condizione della donna, la protezione dei minorenni, il diritto all’istruzione che appunto loro rifiutano, e la libertà di espressione che consente loro di protestare.) Il pretesto della loro protesta era carico di luoghi comuni anti-americani, imbottito di odio per l’occidente, pervasa da un raccapricciante orwelliano rovesciamento della verità.
“I fantomatici attacchi chirurgici sono in realtà un bombardamento a tappeto sulla popolazione civile, sugli ospedali, sui quartieri popolari e addirittura sulla croce rossa e sull’ONU. La conseguenza diretta di questa guerra non è altro che la morte di innocenti….” Cos’è questo se non un palese copione di doublespeak?
Mi è stato consegnato questo documento proprio il giorno dopo che noi tutti avevamo visto nelle strade di Kabul le donne buttare le burque, gli uomini dal barbiere a farsi radere la barba e tagliare i capelli, gli aquiloni dei bambini che volavano nei cieli, la musica che suonava per le strade, addirittura un’intervista con una donna afgana che ringraziava Dio per le bombe americane che avevano reso tutto ciò possibile.
Un altro punto che gli studenti vogliono discutere durante la loro settimana in bianco è: “l’attacco alla scuola.” Pretendono di preoccuparsi anche delle precarietà delle condizioni di lavoro ed dell’irrilevanza degli stipendi dei docenti. Io trovo difficile credere alla sincerità del loro interesse; non è certo con la loro protesta che si cambierà qualcosa. Invece con queste iniziative si sconvolgono i programmi di studio creandoci un sacco di lavoro extra. L’unica cosa che potrebbero fare loro per migliorare le nostre vite sarebbe di impegnarsi di più durante le lezioni!
Abbiamo dovuto convocare un Collegio Docenti durante il quale abbiamo discusso di come comportarci per sorvegliare gli studenti e continuare ad offrire istruzione a quelli che non volevano aderire. Decidere se adottare una politica comune riguardo ai contenuti da trattare durante il periodo d’autogestione, cioè se continuare con il programma, fare ripassi, approfondire argomenti già esaminati, o trattare argomenti supplementari. Per questione di principio uno avrebbe voglia di andare avanti col programma. Il problema è che quando la classe si riunisce, l’insegnante si troverà in maggior difficoltà con una gran parte della classe che non riesce a seguire.
Durante il Collegio ho scoperto che queste iniziative sono illegali ma che vengono tollerate. Come insegnante di Diritto, provo un profondo senso di disagio ad essere costretta a partecipare alla loro illegalità. E se posso sprecare ancora qualche parola riguardo al documento e i suoi contenuti, è pieno zeppo di slogan e luoghi comuni che sentiamo ripetere come giaculatorie dal ‘68. Ci siamo illusi che con il crollo del muro di Berlino, avrebbero cambiato canzone. Invece eccoci col solito ritornello dell’imperialismo americano. Pare evidente che l’ispirazione per i contenuti non nasca nelle menti dei ragazzi, ma che siano manipolati da forze politiche che li ingozzano con la stessa pappa che stanno riscaldando da decenni. Approfittano delle loro menti ancora malleabili e facili da indirizzare verso un conformismo acritico.
Per fortuna già prima dell’inizio di questa settimana d’autogestione,
avevo già avuto una mia piccola fodera d’argento nella nuvola nera
(Silver lining in every cloud ossia il male che non viene solo per nuocere).
Alla fine della settimana scorsa un numero non indifferente dei miei studenti
è venuto a cercarmi, per i corridoi, o in altre classi. Volevano
sapere come mi sarei comportata. Volevano dirmi che alle mie lezioni
ci tenevano, che trovavano quel documento offensivo se non osceno, e che
provavano disagio a vedere un simile scritto circolare per la loro scuola.
Così essi mi hanno offerto l’occasione di apprezzare il loro autentico
senso civico.
Resoconto della settimana autogestita
Al primo piano del liceo lo stato d’assedio. Le aule del secondo invece emulavano le condizioni di una scuola improvvisata in un campo profughi. Da qualche parte, cinque insegnanti alle prese con piccoli gruppi di studenti che volevano imparare, obbligati a barricarsi tutti assieme in un'unica aula come dei rifugiati, per lasciare lo spazio libero a quelli che preferivano invece la disobbedienza incivile. Ai ragazzi del primo e secondo anno spesso mancavano i libri ed i quaderni giusti, perché non potevano portarsi dietro tutto il contenuto dei loro armadietti che stavano sotto nelle loro aule occupate.
Martedì una delle mie classi era stata invitata a vedere l’intervento di Ciampi a Palazzo Carignano: una delle ultime tappe del Presidente della Repubblica nel suo giro d’Italia in occasione del 140 esimo anniversario del Risorgimento. Lo scopo del suo impegno era: ricordare le tante fasi travagliate dell’unificazione dell’Italia e tentare di instillare un senso di patriottismo negli italiani. Un nobile sforzo, che però può aver successo solo se seguito da un insegnamento quotidiano d’apprezzamento per i valori, la conquista dei diritti, le istituzioni ed i simboli della Repubblica. Pensi al mio sgomento quando ho saputo che mentre assistevo a quel momento storico nel palazzo che ospitò il primo parlamento dell’Italia unita, in un’aula della mia scuola due bandiere tricolori venivano dissacrate: una con la A, simbolo degli anarchici e l’altra con un buco di bruciatura.
La settimana si è conclusa con l’intervento di Dario Fo e le sue tiritere solite: Uno sproloquio di pregiudizi, una raffica di luoghi comuni, sparati senza badare alla necessità di prendere ogni tanto il fiato. Un discorso che se fosse trascritto sarebbe privo di punteggiatura, un’interminabile parata di preconcetti interconnessi con congiunzioni a caso. Una pappardella di pasta riscaldata.
Per carità la settimana non è stata priva di tantissimi momenti positivi. Con un numero così ridotto di studenti in aula, ho potuto conoscerli meglio di quanto non riesca con 25 davanti. Sono preoccupati per tutto il tempo perso. Fra scioperi e manifestazioni varie, gite scolastiche, e autogestioni, di lezioni se ne fanno poche. Anche noi docenti siamo preoccupati. A quest’ora avremmo già dovuto aver effettuato un certo numero di verifiche e compiti in classe. Ma per verificare bisogna aver insegnato e senza gli studenti in classe, diventa difficile.
Uno degli organizzatori è un mio studente. È stato citato da vari giornali per la sua preoccupazione per la scuola pubblica. A me non sembra sinceramente preoccupato di cose che riguardino l’istruzione dei suoi coetanei. È uno che non è mai in classe. Anche quando non ci sono gli scioperi o manifestazioni, lui viene molto di rado perché è in giro ad organizzare il prossimo evento che bloccherà gli studi a tutti. È evidente che lui vuole fare politica ed essere protagonista. È anche uno molto simpatico ed ha molto successo come forza trainante. Io gli ho detto più volte che lui più di tutti ha l’obbligo di essere istruito ed informato. Come aspirante leader ha una grossa responsabilità. Non può permettersi di ispirare le masse da ignorante.
Ho saputo che molti studenti hanno partecipato, non per convinzione ma perché si sentivano intimiditi dai compagni di classe. Non intimiditi nel senso che temevano qualche violenza, ma da ciò che noi chiamiamo peer pressure, quella pressione psicologia dei pari che è così forte fra gli adolescenti. Altri hanno partecipato non perché volevano fare l’autogestione, ma perché ritenevano necessario fare sentire la loro voce alternativa a quella dei partecipanti più facinorosi. E così hanno avuto le loro bandiere profanate. Bandiere che, poi ho saputo, avevano comprate a Roma come ricordo della nostra manifestazione. Con tutti questi presupposti diversi e con la scarsa adesione finale, mi viene da dare un suggerimento.
Io non capisco bene perché si lasci fare con tanta disinvoltura qualcosa che è illegale. Da noi non c’è questa flessibilità mentale di fronte alla legge. Ma dal momento che si fa, che è tollerata, e che gli studenti votano se farla o no, suggerirei l’uso del voto segreto. Tolto così il numero di quelli che si lasciano influenzare, magari il toro si taglia la testa da solo.
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